David Chipperfield e il Teatro Romano di Brescia “Un’occasione persa”

Ecco l’intervista rilasciata dall’ Arch. Stefano Molgora su David Chipperfield e il Teatro Romano di Brescia, uscita il 16 marzo 2024 sul Brescia Oggi.

L’Ordine è presente, con la voce autorevole del suo Presidente, nell’importante dibattito sul tema del recupero del Teatro Romano.

Architetto Stefano Molgora si aspettava un archistar per il teatro romano, e nessun concorso pubblico?
È stato strano leggere dell’affidamento a David Chipperfield. Non tanto per lui, che è indiscutibile, ma per il metodo, in aperto contrasto con quanto emerso in un convegno Santa Giulia due anni fa. Quando la linea era chiaramente quella del concorso di idee. E di una collaborazione, che chiesi io stesso, con i diversi enti in gioco: Soprintendenza, architetti, Comune. Invece troviamo A2A e Camera di commercio, strano anche questo. Da quando Del Bono parlò di concorso ad oggi, forse distratti dall’anno della Cultura, non c’è stata la minima condivisione. Non dimentichiamo, ad esempio, la proprietà sul sito del Demanio.

È stato coinvolto?
Alla fine si è passati da un Del Bono che diceva: «C’è necessità di un lavoro di conoscenza, di percorso con la città, che deve emozionarsi e appassionarsi», a, di punto in bianco, Chipperfield. Anche Massimo Osanna, ora cooptato nel comitato scientifico di Brescia Musei, si era espresso per il concorso internazionale. Ad un percorso di conoscenza si sono sovrapposti toni trionfalistici e un po’ di propaganda. Eppure era un’occasione importante per la città.

Lei crede che a Brescia si facciano pochi concorsi pubblici?
Non è solo questo. È che quelli che si sono fatti sono tutti finiti in archivio: largo Formentone, il gasometro, il vuoto di via Dante… E i vincitori…? Una pacca su una spalla e via. Ma se andiamo indietro, Brescia è sempre stata un po’ così. Non è abituata a questa modalità, e invece è proprio il concorso che fa emergere la qualità architettonica. Noi abbiamo istituito un premio sulla rigenerazione degli spazi urbani: ha vinto un progetto bellissimo. Ma tanti altri lo erano. Tra i giovani la qualità c’è. Il bello è scoprirli questi ragazzi.

Spesso le pubbliche amministrazioni spendono fior di soldi per studi di fattibilità che restano in un cassetto. Viene in mente il progetto del nuovo Museo di Scienze naturali.
Ah sì, …la «Casa degli specchi». Ma non voglio parlare di quello, semmai dell’edificio che c’è e che intendono demolire. Nel programma di Lab per BgBs2023 abbiamo scelto di mettere una targa sui fabbricati pregevoli della città, presenti nell’elenco del ministero. E il primo è proprio il Museo di via Ozanam. Ma inutilmente da un anno chiediamo alla Loggia di poterlo fare. Demolirlo è un errore anche dal punto di vista della sostenibilità architettonica. Tra le cose che dobbiamo fare entro il 2050 c’è evitare la demolizione-ricostruzione. Il 39% di emissioni deriva dalle costruzioni.

L’ingegner Cremonesi che ha progettato le stazioni della metro ha sollevato un tema: la tutela di architetture moderne, anche dall’arte contemporanea molto impattante.
Una via c’è: il vincolo previsto dal dlgs 42/2004. Nel caso specifico, credo che se è vero che l’opera dell’artista Angelidakis è prevista come permanente, la si può rimuovere quando si vuole. Un dibattito analogo è in corso da anni sulla stele di piazza della Vittoria, dove c’era il Bigio. Dico che magari è proprio questa installazione che fa emergere la pulizia dell’architettura delle altre stazioni. Del resto, l’arte si è sempre infilata in vari modi, suscitando dibattito. Tutto sommato se fosse capitato ad un mio edificio sarei contento: vuol dire che quell’ambiente ha trasmesso stimoli.

A Brescia è tempo di un nuovo Pgt, quello in vigore ha il pregio, sostiene la Loggia, di essere a consumo di suolo zero. Ma tra proprietà della Diocesi e aree industriali da bonificare, che esistente si può rigenerare? Forse si potrebbe essere più flessibili?
Non dimenticherei che la Regione Lombardia è stata tra le prime a dotarsi nel 2019 di una legge sulla rigenerazione urbana. Forse passata in sordina per via di Covid e della follia del 110. È una legge migliorabile, certamente, ma c’è un capitolo riguardante le bonifiche. Il territorio che abbiamo intorno non è infinito, se lasciamo aree morte non è una bella cosa. Sono zone condannate al degrado, anche sociale. Se qualcuno ha sbagliato in passato, inquinando, non possiamo fare finta di niente, dobbiamo pensare a ciò che lasciamo ai posteri. L’Ordine ha lanciato insieme ai colleghi bergamaschi un portale: «Atlante second life», dove ogni cittadino può segnalare un sito, un edificio degradato su cui immaginare un progetto rigenerativo.

Campus Edilizia ora è una Fondazione. Che ne pensa?
È un bellissimo disegno. Era giusto dargli una valenza giuridica come la Fondazione. Il problema semmai è perché un soggetto del Terzo settore, quando la legge dice che deve esserci la prevalenza di soggetti privati. Di qui le nostre perplessità. Da partner sostenitori comunque controlleremo che campus persegua gli obiettivi pubblici per cui è nato. Non possiamo certo legarci a questa o quella azienda. Il concetto in se di Campus edilizia è comunque notevole, può fare tanto.